Tag: Francesco Montanari

hill of vision

Hill of vision è il film di Roberto Faenza su Mario Capecchi nelle sale dal 16 giugno

Hill of vision è il film di Roberto Faenza che esce nelle sale dal 16 distribuito da Altre Storie.

Hill of vision è anche co-sceneggiato da Roberto Faenza con David Gleeson.

hill of visionNel cast ci sono: Laura Haddock, Edward Holcroft, Elisa Lasowski, Rosa Diletta Rossi e la partecipazione di Francesco Montanari.

 Hill of vision è prodotto da Jean Vigo Italia con Rai Cinema, in compartecipazione con Rhino Films, Inc.

 Seconda guerra mondiale, Alto Adige.

Mario ha solo 4 anni quando sua madre viene arrestata dai fascisti e lui trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti.

Finita la guerra, lui e la madre miracolosamente si ritrovano e ricominciano una nuova vita in America, presso la comunità Quacchera ‘Hill of Vision’.

Mario non riesce a inserirsi nel nuovo contesto di normalità, fino a quando non scopre, grazie allo zio scienziato, la passione per la scienza.

Basato sull’avventurosa vita di Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina nel 2007.

Mario Capecchi nel 2007 è stato insignito del Premio Nobel per la Medicina insieme ai colleghi Martin Evans e Oliver Smithies.

Oggi, Distinguished Professor presso la School of Medicine dell’Università dello Utah, vive a Salt Lake City,

ai piedi di una montagna che gli ricorda quella vicino a Bolzano dove ha vissuto da bambino.

Le sue ricerche sulla genetica molecolare si sono rivelate di fondamentale importanza nella lotta contro gravissime malattie,

in primo luogo il cancro, e sono attualmente rivolte allo studio delle componenti genetiche dell’ansia.

 

Sono quindici anni che lavoriamo a questo film – dice il regista Faenza –  dal 2007, da quando io e Elda Ferri abbiamo appreso della vita di Mario Capecchi.

Sua madre Lucy, americana, viene arrestata dai nazifascisti e deportata a Dachau, e Mario all’età di 4 anni viene abbandonato tra le montagne di Bolzano.

Ci siamo chiesti: Come può un bambino così piccolo sopravvivere vivendo alla giornata, senza mai un pasto caldo,

e poi emigrare in America dove si trova ad affrontare altre enormi difficoltà?

La cosa che più mi ha affascinato di questa impresa è stata l’idea di dovermi cimentare con la psicologia di Mario in quell’arco di tempo che va dai 4 agli 11 anni, il periodo che intendevamo raccontare.

Ho sempre avvertito il fascino della psicologia infantile, che ho raccontato in alcuni miei film, da ‘Jona che visse nella balena’ a ‘I Viceré’.

Freud sosteneva che nei primissimi anni di vita si forma il carattere di un individuo.

È certamente vero nel caso del nostro piccolo Mario, che deve aver introiettato da sua madre Lucy un insegnamento così forte e potente

da superare quell’inferno che ha vissuto sino a quando è stato ritrovato, allorché nel 1945 lei è tornata viva dal campo di concentramento.

La sceneggiatura di questo film ha richiesto molti anni di elaborazione.

Sono stati anni di lavoro accanto a Capecchi, che oggi ha 84 anni, per il quale ricordare il suo passato non è stata una passeggiata.

Tornare indietro nel tempo, affrontare momenti drammatici della propria vita,

anche se poi accompagnati da molte gioie, comporta uno scavare dentro se stessi che richiede forza e dedizione.

Ho contato il tempo dei nostri incontri e siamo a molte decine di ore registrate, oltre alle giornate spese a tornare sui luoghi dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza sia in Italia che in America.

Più che ricercare le location dove girare il film, abbiamo scavato “le location dell’anima” di Mario.

Parlando con Mario ho avuto la sensazione di entrare in una miniera dove scendendo i vari piani si scopre sempre qualcosa di nuovo. 

Il senso del film è offrire allo spettatore gli stessi momenti di emozione e passione generati in me dall’incontro con la vita di Mario, un’avventura così appassionante che sembra un romanzo.

Il messaggio è chiaro: se ce l’ha fatta Mario, partendo da una condizione così estrema, allora possiamo farcela anche tutti noi.

Basta saper essere “resilienti”, ovvero non darsi vinti mai.  

 

 

ero in guerra

Ero in guerra ma non lo sapevo di Fabio Resinaro nelle sale il 24 gennaio

Ero in guerra ma non lo sapevo è il film di Fabio Resinaro in uscita nelle sale il 24 gennaio.

Ero in guerra ma non lo sapevo  è  una produzione Eliseo Multimedia con RAI CINEMA prodotto da Luca Barbareschi e distribuito da 01 distribution.

ero in guerraNel cast ci sono: Francesco Montanari, Laura Chiatti, Juju Di Domenico, Alessandro Di Tocco, Maria Vittoria Dallasta e Gianluca Gobbi.

Il soggetto di Ero in guerra ma non lo sapevo è di  Mauro   Caporiccio  e Carlo Mazzotta

La sceneggiatura  è di Mauro Caporiccio,  Carlo Mazzotta, Fabio Resinaro

Il film s’ispira al Libro “Ero In Guerra Ma Non Lo Sapevo” di Alberto Dabrazzi Torregiani e Stefano Rabozzi – edito da A.CAR Edizioni.

Milano, fine anni ‘70. Pierluigi Torregiani, un gioielliere che si è fatto da sé, subisce un tentativo di rapina in cui muore un giovane bandito.

Non è stato lui a sparare, ma molti giornali lo accusano di essere un giustiziere borghese.

La tensione politica dell’epoca lo rende un obiettivo perfetto per i PAC, gruppo di terroristi guidato da Cesare Battisti, che individuano in lui un colpevole da punire.

Torregiani e la sua famiglia ricevono minacce di morte: il pericolo è così concreto che gli viene assegnata una scorta.

Ma le intimidazioni non si fermano: sempre più invasive, lo condizionano nel lavoro e soprattutto nei rapporti con i famigliari, che si consumano fino a sfiorare la rottura.

Ero in guerra ma non lo sapevo racconta un uomo che, sotto attacco suo malgrado, vive una profonda crisi famigliare che si “ricompone” solo dopo la sua morte, avvenuta per mano di sedicenti rivoluzionari.

 

Cinque settimane di riprese per il nuovo film di Fabio Resinaro ispirato all’omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani, il famoso caso di cronaca nera che si intrecciò con il terrorismo degli anni di piombo.

Torregiani venne assassinato a Milano il 16 febbraio 1979.

L’omicidio, inizialmente attribuito alla malavita milanese, fu poi rivendicato dai Proletari Armati per il Comunismo (PAC) che professavano solidarietà alla criminalità

che si riappropriava dei beni e giustiziavano chi rispondeva alle rapine con le armi.

L’intreccio tra terrorismo e delinquenza trasformò imprenditori, negozianti, giudici in bersagli politici.

Furono diversi gli omicidi perpetrati nei confronti di chi reagiva, rispondendo al fuoco.

L’opinione pubblica si divise tra chi sosteneva le vittime e chi le accusava di farsi giustizia da sole.