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 Il colibrì di Francesca Archibugi Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante

 

 Il colibrì è un film di Francesca Archibugi dal romanzo di Sandro Veronesi

vincitore del Premio Strega 2020 edito da La Nave di Teseo.

Il colibrì  ha come interpreti  Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante,

Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotinì Peluso,

Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli e con Nanni Moretti

il colibriIl colibrì  è scritto da Francesca Archibugi, Laura Paolucci e Francesco Piccolo.

Il film va in onda l’11 settembre alle 21.30 SU RAI 1.

Una coproduzione italo-francese FANDANGO con RAI CINEMA LES FILMS DES TOURNELLES – ORANGE STUDIO.

Prodotto da Domenico Procacci, coprodotto da Anne-Dominique Toussaint.

È il racconto della vita di Marco Carrera, “il Colibrì”, una vita di coincidenze fatali, perdite

e amori assoluti.

La storia procede secondo la forza dei ricordi che permettono di saltare da un periodo a un altro,

da un’epoca a un’altra, in un tempo liquido che va dai primi anni ‘70 fino a un futuro prossimo.

È al mare che Marco conosce Luisa Lattes, una ragazzina bellissima e inconsueta. Un

amore che mai verrà consumato e mai si spegnerà, per tutta la vita.

La sua vita coniugale sarà un’altra, a Roma, insieme a Marina e alla figlia Adele.

Marco tornerà a Firenze sbalzato via da un destino implacabile, che lo sottopone a prove

durissime.

A proteggerlo dagli urti più violenti troverà Daniele Carradori,

lo psicoanalista di Marina, che insegnerà a Marco come accogliere i cambi di rotta più inaspettati.

Il Colibrì è la storia della forza ancestrale della vita, della strenua lotta che facciamo tutti

noi per resistere a ciò che talvolta sembra insostenibile.

Anche con le potenti armi dell’illusione, della felicità e dell’allegria.

 

Ho amato moltissimo il libro di Sandro Veronesi

– dice la regista Francesca Archibugi –

volevo essergli fedele e al tempo stesso

usarlo come materiale personale, perché così lo sentivo.

Il libro è avventuroso sul piano stilistico, e con gli sceneggiatori Laura Paolucci e Francesco

Piccolo abbiamo voluto non solo assecondare l’avventura, ma rilanciare.

Un unico flusso di avvenimenti su piani sfalsati, come quando si racconta una vita, con

episodi che vengono a galla apparentemente alla rinfusa,

 ma invece sono legati da fili interni, a volte inconsapevoli.

Ho scommesso su togliere qualsiasi data e qualsiasi riferimento che dipanasse la domanda:

in che epoca siamo?

Ho desiderato che il flusso del tempo fosse raccontato solo dagli attori.

Questo racconto unificato nel tempo ha avuto bisogno di una grande cura nell’agganciare

un frammento all’altro,

quindi attraverso gli attacchi di montaggio di Esmeralda Calabria, e non solo sul piano narrativo, ma forse ancora di più sul piano visivo.

In effetti la scelta principale di regia, per una storia così fortemente radicata nei personaggi,

è stata la scelta degli attori che dovevano incarnarli.

Grandi e piccoli ruoli.

Ognuno, primo fra tutti Marco Carrera, ha dovuto portare su di sé l’onere del racconto.

I vestiti, più che costumi, di Lina Taviani, dovevano suggerire cosa siamo dentro un’epoca,

non è moda, è abitare il proprio tempo.

Il mondo intorno, le case, le strade, le immagini, la luce e le stagioni che si susseguivano,

quindi dovevano avvolgere i personaggi come un mantello per il viaggio.

Anche in questo film, come per gli altri precedenti, il mio desiderio è stato annullare la macchina da presa,

riuscire a creare la percezione che la storia si stesse raccontando da sé.

Non è un esercizio di regia facile.

A volte la cosa più difficile da inquadrare è il viso di un uomo, di una donna, di ragazzi e

bambini.

Far capire i sottotesti. E filmare l’invisibile.