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vangelo

Vangelo secondo Maria diretto da Paolo Zucca con Bendetto Porcaroli, Alessandro Gassmann, Fortunato Cerlino

Vangelo secondo Maria è il film diretto da Paolo Zucca che firma anche la sceneggiatura con Barbara Alberti, Amedeo Pagani.

Il film è tratto dal romanzo del 1979 Vangelo secondo Maria di Barbara Alberti.

vangeloNel cast di  Vangelo secondo Maria ci sono:

Benedetta Porcaroli, Alessandro Gassmann, Lidia Vitale, Leonardo Capuano, Giulio Pranno, Maurizio Lombardi, Fortunato Cerlino, Andrea Pittorino.

La distribuzione de Vangelo secondo Maria è a cura di Sky mentre la produzione

La Luna, Indigo Film e Vision Distribution in collaborazione con Sky.

Maria è una ragazzina a Nazareth dove tutto le è proibito, anche imparare a leggere e scrivere,

un vero inferno per lei che sogna di scappare quanto prima su un asino come fanno i profeti per andare alla scoperta del mondo.

Dopo aver messo a tappeto ogni pretendente trova in Giuseppe un maestro di saggezza, ma il loro matrimonio è casto,

mentre lui segretamente la istruisce, preparandola alla fuga.

Ma ecco un ostacolo imprevistoMaria e Giuseppe si innamorano.

Stanno per abbandonarsi alla passione, quando l’angelo dell’annunciazione rovina tutto.

 

Il regista sul film dice:

«Prima di tutto questa è una storia d’amore. Un amore asimmetrico, fragile, che nasce e si evolve in circostanze imprevedibili ed inedite.

Un amore così tenace da sfidare il destino, la volontà divina, la morte».

Zucca sulla Porcaroli afferma:

Benedetta Porcaroli è un’attrice piena di talento, una persona molto intelligente, mentalmente velocissima.

Ho imparato tantissimo da lei, perché anche se giovane, ha fatto tanti più film di quanti ne ho fatti io, conosce meglio la macchina del cinema e delle emozioni.

Il personaggio era molto molto complesso e il film era molto pesante, perché lei c’è dalla prima all’ultima scena.

 Io ero molto impaurito dal peso fisico di questa prestazione: l’ho buttata tra le spine e nel fiume. Lei, insieme ad Alessandro, porta sulle spalle tutto il film”.

Gassmann sul suo personaggio dice:

«Interpreto Giuseppe fuori dagli schemi classici: è un uomo solo, colto, che ha viaggiato e trova difficoltà a dialogare e, con questa ragazza, risolve la sua esistenza.

 Credo fermamente una cosa che sosteneva mio padre, che le donne sono superiori agli uomini e che se fossero state al potere avremmo avuto una società migliore».

il colibrì

 Il colibrì di Francesca Archibugi Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante

 Il colibrì è un film di Francesca Archibugi dal romanzo di Sandro Veronesi vincitore del Premio Strega 2020 edito da La Nave di Teseo nelle sale dal 14 ottobre.

il colibrìIl colibrì  ha come interpreti  Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante,

Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotinì Peluso,

Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli e con Nanni Moretti

Il colibrì  è scritto da Francesca Archibugi, Laura Paolucci e Francesco Piccolo

Una coproduzione italo-francese FANDANGO con RAI CINEMA LES FILMS DES TOURNELLES – ORANGE STUDIO. Prodotto da Domenico Procacci

Coprodotto da Anne-Dominique Toussaint

È il racconto della vita di Marco Carrera, “il Colibrì”, una vita di coincidenze fatali, perdite

e amori assoluti.

La storia procede secondo la forza dei ricordi che permettono di saltare da un periodo a

un altro, da un’epoca a un’altra, in un tempo liquido che va dai primi anni ‘70 fino a un

futuro prossimo.

È al mare che Marco conosce Luisa Lattes, una ragazzina bellissima e inconsueta. Un

amore che mai verrà consumato e mai si spegnerà, per tutta la vita.

La sua vita coniugale sarà un’altra, a Roma, insieme a Marina e alla figlia Adele.

Marco tornerà a Firenze sbalzato via da un destino implacabile, che lo sottopone a prove

durissime.

A proteggerlo dagli urti più violenti troverà Daniele Carradori, lo psicoanalista

di Marina, che insegnerà a Marco come accogliere i cambi di rotta più inaspettati.

Il Colibrì è la storia della forza ancestrale della vita, della strenua lotta che facciamo tutti

noi per resistere a ciò che talvolta sembra insostenibile. Anche con le potenti armi

dell’illusione, della felicità e dell’allegria.

 

Ho amato moltissimo il libro di Sandro Veronesi

– dice la regista Francesca Archibugi –

volevo essergli fedele e al tempo stesso

usarlo come materiale personale, perché così lo sentivo.

Il libro è avventuroso sul piano stilistico, e con gli sceneggiatori Laura Paolucci e Francesco

Piccolo abbiamo voluto non solo assecondare l’avventura, ma rilanciare.

Un unico flusso di avvenimenti su piani sfalsati, come quando si racconta una vita, con

episodi che vengono a galla apparentemente alla rinfusa,

 ma invece sono legati da fili interni, a volte inconsapevoli.

Ho scommesso su togliere qualsiasi data e qualsiasi riferimento che dipanasse la domanda:

in che epoca siamo?

Ho desiderato che il flusso del tempo fosse raccontato solo dagli attori.

Perfino le case, negli arredamenti, insieme ad Alessandro Vannucci alla scenografia e

Cristina Del Zotto all’arredamento, le abbiamo tenute piuttosto immobili, come sono state

immobili nei decenni quelle dei miei nonni.

Non ho voluto dare un colore diverso alle epoche, insieme a Luca Bigazzi direttore della

fotografia, non virare i toni fotografici,

 ma tenere la stessa unità che abbiamo nei ricordi.

Questo racconto unificato nel tempo ha avuto bisogno di una grande cura nell’agganciare

un frammento all’altro,

attraverso gli attacchi di montaggio di Esmeralda Calabria, e non solo sul piano narrativo, ma forse ancora di più sul piano visivo.

La scelta principale di regia, per una storia così fortemente radicata nei personaggi,

è stata la scelta degli attori che dovevano incarnarli.

Grandi e piccoli ruoli.

Ognuno, primo fra tutti Marco Carrera, ha dovuto portare su di sé l’onere del racconto.

I vestiti, più che costumi, di Lina Taviani, dovevano suggerire cosa siamo dentro un’epoca,

non è moda, è abitare il proprio tempo.

Il mondo intorno, le case, le strade, le immagini, la luce e le stagioni che si susseguivano,

dovevano avvolgere i personaggi come un mantello per il viaggio.

Anche in questo film, come per gli altri precedenti, il mio desiderio è stato annullare la

macchina da presa, riuscire a creare la percezione che la storia si stesse raccontando da sé.

Non è un esercizio di regia facile.

A volte la cosa più difficile da inquadrare è il viso di un uomo, di una donna, di ragazzi e

bambini.

Far capire i sottotesti.

E filmare l’invisibile.

l'ombra del giorno

L’ombra del giorno il film di Giuseppe Piccioni con Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli

L’ombra del giorno è un film di Giuseppe Piccioni con Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli e con Lino Musella e Vincenzo Nemolato.

L’ombra del giorno è una produzione Lebowski con Rai Cinema distribuito da 01 distribution.

Il soggetto e la sceneggiatura sono di  Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella e  Annick Emdin

l ombra del giornoL’ombra del giorno è un film ambientato in una città di provincia (Ascoli Piceno) sul finire degli anni Trenta.

Luciano, simpatizzante del fascismo come la stragrande maggioranza degli italiani,

è il proprietario di un ristorante, che crede tuttavia di poter vivere secondo le regole che si è

dato, in una sorta di isolamento dal mondo esterno.

Ma sulla vetrina che dà sull’antica piazza, insieme ai segnali preoccupanti di qualcosa che sta per accadere nel mondo, compare una ragazza che porta con sé un segreto.

Si chiama Anna e riesce a farsi assumere nel ristorante.

Da allora per Luciano la vita non sarà più la stessa e insieme ai pericoli che si trova a fronteggiare,

c’è quello più grande di tutti: l’amore.

L’ombra del giorno è una storia d’amore, in quei difficili anni.

 

Se dovessi identificare uno stile – dice il regista Piccioni – , inteso come una costante presente nei miei film, direi che, in gran parte dei lavori realizzati,

ci sono delle scelte che mettono in stretta relazione la scrittura e la messa in scena.

Se dovessi imprudentemente autocitarmi direi che i personaggi che racconto

sono un po’ “fuori dal mondo”, non nel senso di stralunati, bizzarri o particolarmente eccentrici.

Nella loro normalità essi hanno una mancanza, una distanza da una vita piena, al passo con quella

degli altri.

La loro inadeguatezza è tuttavia evidente soprattutto quando si confronta con un’occasione di cambiamento

ed è quasi sempre segnalata dalle coordinate spaziali in cui si svolge il racconto e dalla predominanza del loro sguardo, soprattutto quello di Luciano, sugli altri e sul mondo.

Quindi in questa, come in altre mie storie, ci sono il dentro e il fuori, l’interno e

l’esterno.

Non amo i virtuosismi registici, mi piace raccontare una storia e nascondere i suoi

segreti nei personaggi, nei luoghi e nelle situazioni, nei dialoghi o cercare di raggiungere, anche

nell’artificio, anche in un piccolo, evidente scarto dal realismo in senso stretto, un qualche grado

di verità.

Presento dei personaggi evidentemente e apparentemente tipizzati poi cerco di

aggirare i cliché, di eluderli, con movimenti inattesi della storia e della messa in scena.

I problemi a cui abbiamo cercato di dare una soluzione possono essere i più diversi:

come si incontrano Luciano e Anna, in che modo, nelle varie situazioni, cresce la loro storia d’amore, attraverso quali gesti, in quale spazio, con quali parole, con quali scelte riguardanti le inquadrature, la luce, l’uso (o il non uso) della musica.

Tutto questo diventa ancora più decisivo della trama.

La piazza davanti al ristorante, nella prima parte della storia, sarà un luogo pieno di luce e equilibrio, dove prevalgono i colori e la presenza rassicurante di vicini e passanti.

Diversamente, nella seconda parte della storia, il paesaggio ci apparrà meno illuminato, quasi scialbo, denso di ombre accompagnate da una luce opaca.

Le stesse presenze umane saranno più rade, occasionali, i colori dei loro abiti meno vividi.

Presenze ostili, poco rassicuranti.

Prevale un senso di insicurezza, in un conformismo generale che alimenta un clima di diffidenza, di sospetto, di parole dette a bassa voce, e un sentimento di disagio che pervade tutto e tutti.