La treccia è il film scritto e diretto da Laetitia Colombani con Mia Maelzer, Sajda Pathan, Nehpal Gautam, Fotinì Peluso

la treccia

La treccia è il film scritto e diretto da Laetitia Colombani.

Nel cast de La treccia ci sono: Mia Maelzer, Sajda Pathan, Nehpal Gautam, Fotinì Peluso, Kim Raver, Mara Spinelli, Cecilia Zingaro.

la trecciaLa distribuzione del film è a cura di Indigo Film.

I produttori sono: Olivier Delbosc, Marc Missonnier, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Richard Lalonde, Deborah Benattar

La produzione è di: Curiosa Films, Moana Films, Indigo Film, SND Groupe M6, France 2 Cinéma, Panache Productions, Forum Films,

con il contributo del Ministero della Cultura, Canal +, France Télévisions con il sostegno di Regione Lazio, con il sostegno di Apulia Film Commission.

 La Treccia segue la storia di tre donne che vivono in tre continenti, diverse in tutto ma unite da un destino comune: la lotta per la sopravvivenza.
Giulia è una ragazza italiana, la sua famiglia produce parrucche riutilizzando i capelli tagliati o caduti spontaneamente.

Quando suo padre è vittima di un grave incidente, Giulia scopre che l’azienda è piena di debiti e il mondo le crolla improvvisamente addosso.
Smita ha una figlia e in India essere donna significa sottostare alla legge di tuo padre e di tuo marito, ma lei vuole un futuro migliore per la sua bambina.

Per farlo deve andare lontano e ricominciare altrove una nuova vita.
La terza protagonista vive in Canada, si chiama Sarah, è un’avvocatessa di successo e una madre di famiglia.

Tutto sembra andare per il meglio fino a quando la scoperta di un tumore al seno sconvolge la sua vita.
Tre donne, tre universi legati dalla forza di combattere, unite senza saperlo, da una rete di speranza e solidarietà.

Laetitia Colombani parla della genesi del suo film:

“Ho accompagnato una delle mie amiche più care in un negozio di parrucche: aveva appena scoperto di avere un cancro e stava iniziando la chemioterapia.

Ha scelto una parrucca fatta di capelli indiani naturali.

In quel momento ho ricordato un documentario che avevo visto in televisione anni prima,

che mostrava come i capelli donati dai pellegrini in un tempio indiano viaggiassero fuori dal paese e

venissero utilizzati come base per la produzione di parrucche.

Da lì mi è venuta l’idea di una storia ambientata su tre continenti:

un’indiana che donava i suoi capelli in un tempio, un’occidentale che li riceveva, e una lavoratrice che li trasformava.

Da sempre, i capelli sono associati a un certo concetto di femminilità.

Avendo seguito il percorso di un’amica che ha perso i suoi capelli, so quanto questa perdita possa essere dolorosa e associata alla malattia.

Mi piaceva questo simbolo della femminilità, ma anche quello della resistenza:

 la cheratina è una materia molto resistente, e l’idea di questo capello, sottile ma forte allo stesso tempo,

mi piaceva, perché è anche una metafora dei miei tre personaggi”.